Il prof. Vittorio Boarini, con Pietro Beretta al centro.
Pietro Beretta è nato a Lugano nel 1941 e, pur dipingendo da pochi anni ed essendo questa la sua prima mostra, possiamo dire che è figlio d'arte. Il padre, infatti, svizzero ma s'è laureato a Milano, era una appassionato d'arte; la madre americana, amica di noti artisti e intellettuali, era un'ottima ceramista e ottima ceramista è anche la moglie di Pietro. Lo zio era pittore e viveva a Parigi. Un altro zio è fra i fondatori del festival cinematografico di Locarno e ii fratello è direttore del museo d'arte figurativa di Ascona.
Possiamo, quindi, dire che la vocazione per l'arte Pietro la respira in famiglia e nell'élite intellettuale con cui viene a contatto.
Ma la vocazione ha tempi lunghi per divenire concretamente operativa: prima Pietro si laurea in ingegneria a Monaco, poi dirige la fabbrica di birra di famiglia (in molti paesi del centro e nord Europa fare la birra è un'arte, come per noi fare il vino), poi -venduta la fabbrica- si dedica a varie attività produttive, ma intanto viaggia molto alla scoperta delle meraviglie naturali e artistiche, e finalmente, nel 1995, si stabilisce a Los Angeles per due anni e poi a Cannes, dove vive tuttora, e comincia a progettare e a realizzare la sua personalità d'artista.
Il risultato è qui, davanti ai vostri occhi.
La mostra si articola fra il piano superiore, dove sono esposte le opere di maggiore dimensione, e quello inferiore, dove si allineano quadri di grande interesse perché ci aiutano a comprendere meglio quelli esposti di sopra.
Guardando le opere, balzano agli occhi i riferimenti più immediati: Tapies, Fautrier, Du Buffet e Burri, insisto su Burri anche se appare più mediato e associato a Fontana. Questa sorta di rivisitazione dell'avanguardia informale europea, a ben guardare, non è esente da reminiscenze dell'Action painting americana (ricordiamo il soggiorno a Los Angeles del nostro artista), da vari echi di quella stagione dell'arte statunitense coeva all'informale europeo.
Va subito aggiunto che questa rivisitazione è vissuta originalmente, i riferimenti sono rielaborati in modo del tutto autonomo e inseriti in un universo pittorico del tutto personale.
Non c'è, ad esempio, nella pittura di Beretta quella disperazione esistenziale, quella lacerazione senza rimedio, quella ferita attraverso cui la vita stessa sanguina che caratterizza gran parte dell'informale europeo e quasi tutto l'espressionismo astratto americano. Tutto ciò ha lasciato il campo in Pietro Beretta a una più pacata riflessione su quello che potremmo chiamare il mistero della creazione, il mistero della creazione artistica, ovviamente, anche se questo non è slegato dal mistero della creazione in generale. Spiego questa mia affermazione attraverso un elemento apparentemente tecnico: come ottiene il pittore l'impasto che, con il pennello e la spatola, sistema formalmente sulla tela? Come ottiene questa matericità così variegata ed attraente? Come ottiene la gamma di sfumature cromatiche, un cromatismo che vibra e sembra esso stesso assumere dimensioni scultoree? Li ottiene con polvere di marmo che impasta con delle resine; con pigmenti vari, spesso reperiti in viaggi esotici, tra i quali spiccano quelli del Marocco, mescolati con oli e tenuti insieme con uovo, trementina e cera. La cera è un collante particolarmente importante nella "fabbricazione" di queste opere perché è spazzolando la cera, una volta fissata nella tela, che Pietro ottiene le sfumature le quali danno sostanza e vivacità alla materia facendone un corpo che vibra. Bisogna considerare che la pittura materica trova sempre il suo limite nella naturale inerzia dei materiali, la materia infatti è inerte per definizione, e il problema dell'artista è quello di dar vita alla massa inerte. A questo alludevo quando parlavo del mistero della creazione: nella nostra tradizione culturale la creazione dell'uomo avviene animando la materia, Adamo è un impasto di terra, di materia inerte, animato da un soffio vitale. L'artista, ogni artista, imita Dio animando la materia, ma questo procedimento creativo è particolarmente evidente in un artista materico come Beretta che usa un impasto di materiali terragni, grevi e densi. Nel "soffiare" su di essi per animarli pare che l'artista abbia una concezione della creazione come spontaneità, come promanasse spontaneamente dalla materia se la si sa impastare opportunamente, se la si sa manipolare "a regola d'arte" con un colpo di spazzola, una pennellata, un'intaccatura con la spatola. La materia non cessa di essere tale, ma nello stesso tempo assume tonalità e vibrazioni che la fanno divenire altro da sé: un'opera d'arte, una creazione artistica, appunto.
Trascrizione del discorso pronunciato da Vittorio Boarini all'inaugurazione della Mostra autorizzato, ma non rivista dall'autore, il 14-26 Ottobre 2000.
Le intriganti alchimie materiche di Pietro Beretta
Il fare pittorico nella sua accezione moderna, inteso come una continua e inesauribile pratica sperimentale che si avvale di un vasto e variegato repertorio di strumenti, materiali e procedure che nel loro combinatorio estrinsecarsi vanno ben al di là della convenzionale e consueta stesura pulita, nelle tele di Pietro Beretta si traduce in un fare largo caratterizzato da ampie stesure volte a definire una geografia formale basata su zone contigue strettamente connesse.
Il quadro, costruito attraverso un lento e sottile processo di accumulo di materiali, dai sacchi alle stoffe passando per l'umile cartone, che nel loro sovrapporsi formano delle vere e proprie stratificazioni ricoperte da lievi o più intense coltri di pigmenti naturali che il nostro sa dosare con grande perizia e sapienza cromatica, appare nel suo svelarsi come una vera e propria mappa che se da un lato per la sua capacità evocativa potrebbe ancora legittimare una lettura in termini naturalistici, dall'altro si pone come esteso scenario dentro il quale si consuma l'esperienza esistenziale dell'artista che nella sua frenetica gestualità, nelle ferite segniche, nelle tracce involontarie lascia traccia di sé, testimonia attraverso il fare artistico la sua particolare vicenda umana. In questo muoversi convulso ma mai debordante, in questo affermarsi attraverso l'agire creativo Beretta non perde mai il senso della misura ma anzi ricerca al di là di un dire necessario e vitale una misura, un equilibrio che altro non é che il bisogno supremo di definire, all'interno di una poetica del dubbio come é quella informale, una composizione stabile, perdurante e nel contempo armoniosa. Dal laboratorio dove Beretta si diletta a preparare i più improbabili intrugli, le più intricate misture con quella passione frammista ad una ritrovata e rinnovata lucidità infantile, ecco uscire questi sorprendenti teleri che nel loro venire a noi sembrano quasi parlarci di un mondo arcano, geograficamente lontano e i cui aromi colorati evocano culture mediterranee a cui guardiamo con delicata nostalgia. Questa la magia palpabile presente nell'opera di Beretta! Un sogno che si materializza in preziose atmosfere sempre in bilico tra la pura e disinteressata decorazione e il bisogno di lasciare testimonianza di sé.
Prof. Dario Bianchi
agosto 2005, "Galleria AAA Carrà dei Nasi", Ascona (CH)
ottobre 2002, "Studio d'Arte Lanza", Verbania-Intra (I)
maggio 2002, "Galerie 1900-1950 Michèle Barranger-Scotto", Cannes (F)
ottobre 2000, "Circolo artistico ITERARTE", Bologna (I)